“Il salto della rana”, è un viaggio ‘onirico’ ricco di input e intessuto di rara originalità, soprattutto nell’architettura che, di riflesso, forma e trasforma i contenuti, distinguendoli da quelli di opere simili.

La storia si mantiene costante e tenace su un equilibrio precario, sempre sospeso tra coscienza e sogno, in un bivio continuo, in cui la tentazione di abbandonarsi alla resa sembra essere più forte e dolce dell’impulso alla vita. Reagire per sopravvivere non è l’imperativo, l’imperativo è esplorare e capire, conoscere e, solo a quel punto, scegliere se vivere. Scelta che ovviamente supera la contingenza narrata per abbracciare scelte quotidiane, quelle che poi fanno di ognuno la persona che è o vorrebbe essere. La meta di questo viaggio ai confini del mondo/coscienza è a tratti annunciata e ha un suo compimento, ma non è mai risolta definitivamente: il percorso di conoscenza è e resta in divenire e ci si è condotti passo dopo passo, senza il trauma dell’impatto violento, grazie alla poesia delle parole e a una narrazione arguta e sapiente.
L’evento da cui scaturisce la narrazione è palese eppure dubbio, il lettore non ha certezza di ciò che sia davvero accaduto e può permettersi il raro lusso di scegliere lui il destino dei vari protagonisti. Così come può permettersi di dare a ognuno una propria rappresentazione. Rita, Saverio, Maria, Andrea, Nikandros, Anthony e naturalmente Emma sono i nostri spettri e i nostri angeli, i desideri e le paure, la salvezza e l’abisso. Il confine tra reale e immaginario è sempre labile e le figure, come le scene, hanno tutte le sfumature che la sensibilità e la visionarietà di ognuno vorrà dargli.
Altro elemento insolito è che tutto scorre su una leggerezza che naturalmente non è superficialità ma un afflato lieve e libero da convenzioni con cui indagare e raccontare il profondo, senza pesantezze concettuali né stilistiche.
L’indagine introspettiva è molto ben resa: è attenta, rappresentativa e mai noiosa; non si cede alla ricerca forzata dell’elemento psicologico, piuttosto emerge da sé, puntuale e calzante, nel momento più appropriato, a far luce sui dissidi, sulle paure, delusioni, amarezze e speranze. La complessità del mondo interiore sgorga dalle righe con naturalezza; si avverte che l’autrice conosce a fondo i moti dell’anima, sa coglierne le sfumature, e sa comunicarli, manifestando una marcata propensione a entrare in empatia con il lettore a cui regala completa libertà d’interpretazione e immedesimazione.

Lo stile è intonato al genere, e si avvale di un periodare agile ma denso di tutti quegli spunti lirici che permettono di godere di una scrittura piacevole e pulsante. Rondini ha una profonda consapevolezza della scrittura, sa giocare con le parole e le ragiona una per una così come ragiona sul ritmo di ogni singola riga, nulla è lasciato al caso. Non si cerca il virtuosismo, non si sovrabbonda, si descrive con eleganza e profondità, favoriti da una mano fluida e incisiva.

In “Il salto della Rana”, non si parla addosso, si parla dentro, quasi sottovoce; ed è proprio lì, dentro e in silenzio, che l’opera si adagia e resta.